Francesco De Bartolomeis, membro onorario di ICSEM, decano dei pedagogisti italiani e critico d’arte, forse l’uomo più vecchio di Torino, non c’è più. Chi gli era vicino dice che nelle ultime ore muoveva le braccia e le mani come per salutare tutti. Si è spento intorno alle 2 di notte del 29 giugno. Aveva 105 anni, cinque mesi e 10 giorni. Fino a poco tempo fa, per tre mattine la settimana, andava a nuotare nella piscina del San Giuseppe. Una ventina di vasche: “In acqua non ho peso, mi muovo senza fatica, non rischio di cadere. Mi hanno detto che potrei concorrere al titolo europeo per la categoria degli ultracentenari ma non mi interessa. Sono contrario allo spirito competitivo.”

Alla fine di maggio le Edizioni ZeroSei hanno pubblicato il suo ultimo libro, “Parliamone. Educazione, arte e altro”, con un contributo di Rita Margaira sull’educazione musicale (90 pagine, 12,80 euro). Era il secondo libro di quest’anno, il quinto di una serie inaugurata nel 2022. All’inizio di giugno, quando me lo ha consegnato, stava meditando una autobiografia insolita, che avrebbe scritto certo non per celebrarsi ma per evocare personalità importanti incontrate nel suo secolo di attivissima vita. Batteva su un computer dai grossi tasti gialli lottando con la vista indebolita, leggeva e faceva ricerche su Internet ingrandendo i testi sullo schermo, rispondeva alle mail nel giro di un’ora.

La strada come scuola

Laureato in pedagogia a Firenze con Ernesto Codignola, De Bartolomeis è stato ordinario dal 1956 al 1988 all’Università di Torino e poi professore emerito, ma era nato a Pellezzano, in provincia di Salerno. Le strade di quel paesone corse da scugnizzi furono la sua prima scuola, gli avevano impresso l’idea – raccontava – che l’esperienza, gli incontri, le amicizie insegnano più cose dei libri, peraltro necessari e amatissimi. Di libri ne lascia più di cinquanta, alcuni hanno venduto centinaia di migliaia di copie. Il primo, “Idealismo ed esistenzialismo” (1944), fu recensito da Benedetto Croce. “La pedagogia come scienza” (1953), “Il bambino da tre a sei anni e la nuova scuola infantile” (1968), “La ricerca come antipedagogia” (1969), “Il sistema dei laboratori” (1978), “Riflessioni intorno al sistema formativo” (2004) sono pietre miliari nella storia dell’educazione del secondo Novecento.

Eppure, da sola, la pedagogia gli andava stretta. Nel secondo dopoguerra Adriano Olivetti lo chiama tra gli intellettuali della sua squadra con i sociologi Franco Ferrarotti e Luciano Gallino, gli scrittori Leonardo Sinisgalli, Franco Fortini e Paolo Volponi, l’artista-designer Ettore Sottsass. A Torino lancia il Movimento di Cooperazione Educativa e i Laboratori. Diventa amico degli artisti Lucio Fontana, Piero Sismondo, Giacomo Soffiantino. Frequenta l’architetto e urbanista Luigi Caccia Dominioni (mi indicava una sua sedia di ferro verniciata di rosso avvertendomi che è scomodissima). Contribuisce alla fondazione del Festival Cinema Giovani e del Torino Film Festival, entra in Consiglio comunale come indipendente del gruppo comunista, progetta e realizza la scuola dell’infanzia in Emilia e Romagna, avvia l’iniziativa delle mense scolastiche e del tempo pieno.

Capovolgere la prospettiva

Terminato l’insegnamento, l’arte diventa uno dei principali interessi di De Bartolomeis. Se ne occupa, come sempre, esercitando il pensiero divergente, capovolgendo il punto di vista, con l’originalità della sua prospettiva, la sua insofferenza per il conformismo. Limitandoci ai lavori più recenti, in “…se Lucio Fontana non avesse fatto buchi e tagli” (et-graphie, Foligno, 2021) sostiene polemicamente che le tele squarciate hanno oscurato le altre opere di Fontana, artisticamente ben più importanti. In “La cultura dell’arte” (Campisano Editore, 2022) mette in discussione il surrealismo di Picasso e la verosimiglianza creativa di Antonello da Messina e del Bernini scultore. In “La realtà dell’arte” (Rosenberg & Sellier, 2022) distingue tra astrattismo e astrazione riconducendo alla “materia” l’essenza dell’arte.

Il critico e storico Claudio Strinati ha accompagnato con le sue Introduzioni questi lavori recenti di De Bartolomeis. L’altra loro costante è la dedica al figlio Paolo, brillante matematico dell’Università di Firenze, morto improvvisamente a 64 anni nel 2016, dolore mai sopito. Al libro sui “tagli e buchi” di Fontana premette queste righe: “Paolo, ricordi il giorno di luglio del 1967 alla stazione di Milano, in attesa del treno che ti avrebbe portato a Londra, come ogni estate. Dovevamo aspettare per circa un paio d’ore. Pensai di farti conoscere Fontana. Ci accolse con cordialità. Tu eri commosso di trovarti di fronte a un grande artista. Grande semplice gentile. Ci accompagnò in taxi alla stazione. A ricordare sono solo.”

“Scrivo per capire”

Tra il 2022 e l’inizio del 2023 De Bartolomeis ha scritto e pubblicato cinque libri per le Edizioni ZeroSei: una quadrilogia di riflessioni pedagogiche e artistiche completata da un quinto saggio, il già ricordato “Parliamone”, che mette a “sistema” i temi sparsi nei primi quattro testi (una riflessione sulle proprie riflessioni). L’obiettivo, come al solito, è la “ricerca”, per sua natura mai definitiva, ma “il fatto che le ricerche non si fermino mai non vuol dire che tutto è incompiuto e di passaggio”. Le due cose, precarietà e acquisizione della conoscenza, non sono in contrasto. Anzi, sono indissolubili. “Non scrivo per spiegare ma per capire”, mi diceva. E una volta, quando gli dissi che mi sentivo “allievo di una sua allieva” perché Elena, mia moglie, che mi ha sopportato per 45 anni, era stata una sua studentessa, mi disse: “Noi due saremo sempre allievi”.

Di simili cristalli di saggezza “Parliamone” è disseminato. “Chi ha forza non la ostenta”, scrive De Bartolomeis. “È un diritto provare piacere nello studio”, “Il passato è nella nostra quotidianità”, “Curo la qualità della scrittura non per ambizione letteraria ma per cogliere minimi particolari, sfumature, atmosfere; come una necessità di sentire e comunicare la realtà delle cose”.

L’ultimo intervento pubblico

De Bartolomeis aveva accumulato molte onorificenze, alle quali era del tutto indifferente. Dell’autunno scorso è la nomina a membro onorario dell’International Center for Studies on Educational Methodologies” (Icsem, www.icsem.it ). In questa veste, il 14 marzo partecipò al seminario “Benvenuti a Longevia” organizzato da Icsem alla Biblioteca Civica Centrale di Torino. Ovviamente improvvisò il suo intervento, detestava i discorsi prefabbricati. Parlava di pedagogia e di arte con la stessa semplicità con cui si faceva dare del tu dalla cassiera del supermercato. Conservava l’allegria, la curiosità e l’appetito del ragazzo di strada di Pellezzano. Era un intellettuale, ma con i piedi ben piantati per terra.

Piero Bianucci

(da “La Stampa”, 1° luglio 2023)