La geometria dei frattali e la teoria del caos permettono di rendere circa 10 volte più accurata l’analisi degli stati di coscienza in pazienti che si trovano in coma, in stato vegetativo e in altre patologie affini. Lo dimostra uno studio guidato dall’Università di Padova pubblicato sull’International Journal of Neural Systems.

Definire che cosa sia la “coscienza” è una delle questioni più ardue, controverse e aperte nelle neuroscienze. Secondo varie teorie, la consapevolezza di sé non dipenderebbe dall’attività di una specifica regione del cervello, ma piuttosto da complesse reti tra diverse regioni cerebrali. Dal punto di vista clinico la coscienza è classificata in veglia (cioè la presenza di periodi spontanei di apertura degli occhi) e consapevolezza (cioè la capacità di rispondere agli stimoli interni/esterni). Su queste basi, i pazienti con disturbi della coscienza (DOC) vengono suddivisi in diversi stati di coscienza: coma, stato vegetativo (VS) e stato di coscienza minimo (MCS). Il termine VS si riferisce a pazienti che sembrano essere svegli con cicli di chiusura e apertura degli occhi ma senza alcun segno di risposta intenzionale (nessuna consapevolezza), mentre MCS si riferisce a pazienti con risposte deboli e volontarie incoerenti. La diagnosi di DOC si limita alla valutazione clinica delle risposte motorie principalmente alterate o non rilevabili per i pazienti con VS e MCS.

Tra le diverse scale disponibili in letteratura, la Coma Recovery Scale-Revised (CRS-R) è la più utilizzata. L’uso corretto di questa scala ha migliorato significativamente l’affidabilità della diagnosi nella routine clinica. Tuttavia, la complessità della valutazione comportamentale in questo tipo di pazienti si riflette ancora in un’elevata percentuale di diagnosi errate tra i pazienti con MCS e VS. L’alto tasso di diagnosi errate rappresenta una importante sfida per i neurologi per migliorare la prognosi e la selezione di trattamenti terapeutici personalizzati ed efficaci.

Per aiutare i neurologi in questa complessa diagnosi sono stati proposti numerosi modelli matematici. Il più promettente deriva dalla teoria del caos: la dimensione frattale.  Il termine frattale venne coniato nel 1975 da Benoît Mandelbrot nel libro “Les Objects Fractals: Forme, Hazard et Dimension”, per descrivere alcuni comportamenti matematici che sembravano avere un comportamento “caotico”, e deriva dal latino fractus (rotto, spezzato), così come il termine frazione; infatti le immagini frattali sono considerati tutti quegli oggetti che non possono essere misurati mediante la geometria euclidea e che si trovano nel mezzo dello spazio 1D e 2D oppure 2D e 3D. Un oggetto frattale, è quindi, un oggetto geometrico che ripete infinite volte la sua forma su scale diverse: ingrandendo una sua parte qualunque, si ottiene dunque un oggetto simile all’originale.

Un team multicentrico guidato da Camillo Porcaro dell’Università di Padova e del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (CNR-Istc) di Roma ha applicato i concetti di dimensione frattale su un gruppo di pazienti VS e MCS e su uno gruppo di controllo di volontari sani.

«L’idea di applicare i frattali allo studio dei pazienti DOC nasce dall’ipotesi che l’attività cerebrale si ripete con pattern sempre più complessi tanto più il cervello è in uno stato di coscienza. Per dimostrare l’efficacia della dimensione frattale nel classificare i due stati di coscienza (VS e MCS) è stato usato l’algoritmo “Higuchi’s fractal dimension. Una volta stimata la dimensione frattale dell’attività cerebrale registrata su questi pazienti mediante l’elettroencefalografia (EEG) – spiega Camillo Porcaro – si è dimostrato che “la dimensione frattale è 11 volte più efficace nel diagnosticare pazienti MCS e VS rispetto alle tecniche elettrofisiologiche normalmente usate nella pratica clinica. Abbiamo anche utilizzato metodi di Machine Learning per classificare in modo automatico i pazienti MCS da quelli VS e dal gruppo di controllo ottenendo un’accuratezza di circa il 90%”.

I risultati ottenuti dal team di ingegneri, neurologi e neuroscienziati aprono nuove vie nella diagnosi dei pazienti DOC indicando la dimensione frattale come un marker abile a discriminare i pazienti a minima coscienza da quelli nello stato vegetativo e aiutare a ridurre le diagnosi errate nella pratica clinica.

Link alla ricerca: https://www.worldscientific.com/doi/abs/10.1142/S0129065722500319

Titolo: “Fractal Dimension Feature as a Signature of Severity in Disorders of Consciousness: An EEG Study” – IJNS (2022)

Autori: Camillo Porcaro, Marco Marino, Simone Carozzo, Miriam Russo, Maria Ursino, Valentina Ruggiero, Carmela Ragno, Stefania Proto, Paolo Tonin