La denominazione “Ministero dell’Istruzione e del Merito”, una uscita infelice del suo titolare Giuseppe Valditara e il taglio di finanziamenti alla scuola suggeriscono qualche riflessione a proposito della disciplina che una volta si chiamava Pedagogia (era così al tempo dei miei esami con Luigi Pareyson e Pietro Chiodi all’Università di Torino) e ora grazie al contributo di Umberto Margiotta si chiama Scienze della Formazione.

Ci guida il libro da poco pubblicato in onore di Umberto Margiotta fondatore di ICSEM, International Center for Studies on Educational Methodologies, già ordinario di pedagogia all’Università di Ca’ Foscari di Venezia.

Brevemente: dall’etichetta del ministero è sparita la parola “pubblica”, come se l’istruzione non fosse più l’opportunità inclusiva prevista dalla Costituzione. In compenso per la prima volta nella storia della repubblica è comparsa la parola “merito”, rispettabilissima, ma che messa lì, insieme con l’omissione dell’aggettivo, prende un suono classista.

La manovra Meloni

La manovra finanziaria del governo Meloni conferma questa impressione: nei prossimi due anni si chiuderanno 700 scuole (quindi ci saranno classi più affollate negli istituti scampati alla mannaia), aumenterà il finanziamento alle scuole private paritarie ed è previsto un apposito emendamento per assumere altri funzionari e accrescere la dotazione ministeriale (leggi più burocrazia) a scapito dei fondi destinati all’offerta formativa e all’attività didattica.

Crescere “umiliati”?

Quanto al neoministro Valditara, in una delle sue prime apparizioni, parlando di uno studente punito per un episodio di bullismo con la sospensione di un anno (un anno!), ha affermato che “l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”. In sostanza, per far maturare gli studenti servirebbe una “pedagogia dell’umiliazione”, come quando, all’epoca di De Amicis, i “cattivi” finivano in ginocchio dietro la lavagna. Nota a margine, Valditara è professore ordinario di Diritto romano all’Università di Torino, è stato iscritto ad Alleanza Nazionale (ex MSI), al Partito della Libertà (Berlusconi), a Futuro e Libertà (nato da una scissione dei berlusconiani) e ora milita nella Lega, dove è consigliere politico di Salvini; senatore per due legislature, non rieletto alle ultime votazioni, è verosimile che sia stato risarcito con il ministero.

Con la sanità (pubblica), la scuola (pubblica) è un pilastro della democrazia di un Paese. In Italia oggi abbiamo 8,5 milioni di studenti e 750 mila insegnanti: segnalando i tagli, il profilo e il linguaggio del ministro, stiamo parlando di loro. Dunque una rapida retrospettiva storica è utile per rendersi conto della mutazione genetica in corso nella pubblica istruzione, analoga a quella già subita dalla pubblica sanità a favore di cliniche e centri medici privati.

Evoluzione pedagogica

Nei cinquant’anni che abbiamo alle spalle il campo di azione della pedagogia si è molto ampliato. Con la formazione permanente si è esteso al mondo del lavoro, alla società, alla “terza età”. Di conseguenza la pedagogia, già ancorata alla filosofia (in l’Italia a Croce e Gentile, negli Stati Uniti a Dewey), si è articolata nelle “Scienze della formazione”. Pioniere del cambiamento fu De Bartolomeis con il saggio del 1953 “La pedagogia come scienza” (Firenze, La Nuova Italia) che aprì il ventaglio delle “scienze pedagogiche” (psicologia, sociologia, cognitivismo, sperimentazione). Lo ricorda Massimo Baldacci in apertura del libro in onore di Umberto Margiotta (“Principio di responsabilità e ricerca pedagogica”, a cura di Luciano Galliani, Rita Minello e Fiorino Tessaro, Armando Editore, 552 pagine, 33,25 euro).

Umberto Margiotta (1947-2019) è stato professore ordinario di Pedagogia Generale all’Università di Venezia, dove i suoi allievi hanno contribuito a far conoscere in Italia il Metodo del pedagogista Reuven Feuerstein. Laureatosi a 22 anni in Filosofia all’Università di Bari con una tesi su Immanuel Kant, si è poi specializzato in Logica e ha trascorso periodi di ricerca nelle università di Monaco di Baviera, Munster e Heidelberg, dove, traducendo il saggio di Gadamer “Ermeneutica e logica universale”, ha concepito la formazione come una “logica della vita”. Pro Rettore a Ca’ Foscari per la Formazione permanente e l’insegnamento a distanza, è stato Coordinatore del Dottorato in Scienze della Cognizione e della Formazione e Pro Rettore per il Coordinamento generale della didattica. Il libro a lui dedicato raccoglie una ventina di contributi, tra i quali – per limitarci a alle finalità di questi appunti – si segnalano i saggi di Luciano Galliani (ontologie pedagogiche), Franca Pinto Minerva (epistemologia della complessità e pensiero ecologico), Antonio Augenti (politiche educative in prospettiva internazionale), Daniele Morselli (l’apprendimento secondo Feuerstein e Vygotskij) e Alessandra Damnotti, che delinea gli obbiettivi di Margiotta nell’atto di fondare ICSEM).

La pedagogia “life long learning” anima anche il libro di Francesco De Bartolomeis “I bambini, l’arte, la cultura” (Zerosei, 2022, www.zeroseiup.eu, 102 pagine, 12 euro), che propone in modo perentorio l’urgenza che fin dalla scuola dell’infanzia venga stimolata e valorizzata la creatività. Rispetto alle discipline razionali, nei più piccoli l’arte ha il vantaggio di sollecitare direttamente i sensi con la percezione delle forme, dei colori, dei materiali e – cosa altrettanto importante – di favorire la concretezza dell’esperienza manuale con mezzi semplici come carta, matite, pennarelli, creta, plastilina.

Sostenitore dell’unità integrata nidi-scuola dell’infanzia fin da quando negli Anni 40 insegnava all’Università di Firenze, De Bartolomeis dal 1983 al 2005 ha coordinato progetti per il Comune di Riccione poi estesi a tutta l’Emilia-Romagna; inoltre è stato il primo a portare la pedagogia nelle fabbriche come consulente della Olivetti nella stagione d’oro di Comunità. Essenziale è l’idea di “laboratorio”. L’arte ha un duplice valore: da un lato produce una “realtà” autonoma e nuova, dall’altro è un mezzo prezioso proprio per prendere confidenza con la comune realtà pre-esistente all’atto produttivo.

L’importante, è non semplificare, non sprecare la ricchezza dell’arte trattando i bambini come se ontologicamente non potessero coglierla. Ai bambini non si deve nascondere la complessità, semmai mediarla.

“Sei anni – conclude De Bartolomeis – sembrano pochi. Eppure in questo breve periodo si conoscono e si sanno fare tante cose. A volte sembra che bastino pochi giorni perché nel modo di essere del bambino si verifichino mutamenti importanti. Quello che è naturale evoluzione, se non è deviato da una arbitraria educazione normativa, fa scoprire che molto presto il bambino può essere il tuo collaboratore e interlocutore, e puoi condividere con lui interessi e affetti.”

L’esatto contrario della pedagogia dell’umiliazione.